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Scuola e formazione a distanza per conoscere il fenomeno mafioso

Nei giorni scorsi, dall'8 al 12 marzo, alcune classi del nsotro Istituto insieme ai propri docenti hanno partecipato a un incontro di formazione e informazione on-line con “Libera VCO”, un'associazione onlus nata nel 1995 con lo scopo di liberare l’Italia dalle mafie utilizzando l’antimafia sociale, ossia facendo informazione, monitorando il territorio per scoprire infiltrazioni mafiose e proponendo educazione alla cittadinanza nelle scuole. L'incontro rientra nell'ambito di una serie di proposte all'interno del progetto “legalità ed educazione civica” al quale la scuola ha aderito.

Al dibattito online erano presenti due studentesse universitarie, Maili Wakita e Valentina Aiello, che hanno spiegato cosa sia la mafia utilizzando il metodo delle 5 W (Where, What, Who, When, How much). È stato spiegato che il contesto nel quale si nasce può essere una delle cause dell’essere mafioso o del diventarlo in seguito, e che uscire dal circolo vizioso della mafia è possibile, ma è anche molto difficile per i legami che si creano, per le minacce che si subiscono e per le vendette che la mafia mette in atto per intimidire, spesso rivolte anche ai propri familiari.

Per raggiungere i suoi scopi illeciti e per ottenere ubbidienza dagli affiliati, la mafia utilizza l’intimidazione, l’assoggettamento, l’omertà (“non vedo, non sento e non parlo per paura”), la commissione di delitti, il pizzo e il condizionamento elettorale. Questo fenomeno ha origini antiche, ma in Italia si può iniziare a parlarne nell’età borbonica, nell'Ottocento, quando era in uso il latifondo e il braccio armato della nobiltà feudale reprimeva le rivendicazioni dei contadini del sud Italia, affermando il proprio potere personale a scapito di quello centrale. Successivamente, dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando giunsero gli aiuti del piano Marshall per la ricostruzione, la mafia si insinuò ovunque: il boss arrivò anche al Nord, dove ricostruiva la piramide del potere, offriva manodopera a basso costo all’imprenditore che si rendeva anch'esso complice. Quindi la mafia, possiamo dire, sceglie le zone povere ma predilige quelle ricche dove ci sono grossi capitali. Lo Stato, inoltre, attuava il cosiddetto soggiorno obbligato al Nord Italia per i capi mafiosi, pensando che, allontanandoli dal loro ambiente, potesse significare la fine delle relazioni mafiose, ma questi soggetti, liberi di circolare, utilizzavano gli stessi metodi a cui erano abituati, non facendo altro che radicare la mafia nei luoghi di soggiorno. Attraverso gli enormi introiti dalle attività illecite, la mafia si sostituì allo Stato nella fornitura dei servizi essenziali dove le funzioni statali e parastatali non funziona. Quindi, quando facciamo un calcolo di quanto la mafia guadagni, dobbiamo tenere conto delle attività lecite e illecite, della corruzione e dell’evasione fiscale, del riciclaggio di denaro, del traffico di stupefacenti, della prostituzione, dell'usura e dello sfruttamento del lavoro nero.

Oggi troviamo la mafia un po’ in tutto il mondo e, solo per citare quelle più conosciute e più potenti, il Cartello di Sinaloa in Messico, La Triade in Cina, la Yakuza in Giappone, la Fratellanza Solncevskaja in Russia e la Nigeriana, non dimenticando in Italia, Camorra, ‘Ndrangheta e Cosa Nostra. La mafia trova terreno fertile negli ambienti dove c’è indifferenza, omertà, paura, ignoranza, convenienza, collusione e fragilità.

L’incontro è stato molto interessante, c’è stata interazione da parte delle classi che sono intervenute con domande a cui le due studentesse hanno risposto in modo chiaro e comprensibile.

Grazie a “Libera VCO”, gli studenti hanno capito che dobbiamo essere noi, singoli e comunità, a contrastare l’avanzata della mafia, attuando comportamenti che impediscano la messa in atto delle strategie mafiose.

Andrea Ferraris 2AFM

 

APPRONFONDIMENTO SULLE MAFIE: PARLIAMONE!

Conosciamo davvero le mafie? Del fenomeno mafioso sentiamo spesso parlare, ma siamo realmente consapevoli di cosa esso rappresenti, al di là degli stereotipi?

La mafia, infatti è un fenomeno antico e radicato, che è nato nelle zone del Mezzogiorno, ancora prima che si realizzasse l’Unità d’Italia. Signorotti locali, baroni e possidenti si affidavano a gruppi organizzati capaci di utilizzare la violenza per assicurare la riscossione dei tributi e la fedeltà alla corona. 

Se è vero, però, che le organizzazioni mafiose erano già attive in età borbonica, è altrettanto vero che con l’unificazione nazionale si è persa una grande occasione per sconfiggerle. Infatti, lo Stato non ha saputo sostituirsi a questa rete fatta di omertà, rituali di affiliazione, estorsioni e violenze.

Oggi le cosche sono attive anche nel Nord, dove sono arrivate soprattutto con il boom economico degli anni ’50 e ’60. Lo sviluppo dell’edilizia, la nascita di un sistema imprenditoriale dinamico e spregiudicato e la consistente migrazione dal Sud hanno favorito le infiltrazioni, anche se spesso invisibili. 

Una delle domande che ci si pone inevitabilmente è questa: perché le mafie devono essere considerate in modo più grave rispetto alla criminalità organizzata? Per poter rispondere dobbiamo fare riferimento all’articolo 416 bis del Codice penale, in cui sono descritte le tre caratteristiche peculiari delle associazioni mafiose, ossia la forza di intimidazione e di vincolo associativo, l’assoggettamento e l’omertà. 

Le organizzazioni criminali di stampo mafioso hanno principalmente tre finalità: la commissione di delitti, la gestione di attività economiche (perché più soldi ci sono, più devono continuare ad entrare) e infine il condizionamento elettorale. Quest’ultimo aspetto è particolarmente pericoloso per la democrazia e la convivenza civile, perché se il Parlamento si riempie di persone legate alle cosche, non solo esse si rafforzano, ma i cittadini perdono fiducia nelle istituzioni e senso di sicurezza. 

D’altra parte, dobbiamo pensare che il business di affari gestito dalle mafie si aggira intorno ai 150 miliardi di euro all’anno, tra attività lecite e illecite. Estorsione, usura, riciclaggio, smaltimento dei rifiuti, traffico di armi e stupefacenti, omicidi, sfruttamento della prostituzione e traffico di esseri umani sono le principali attività illegali da cui le varie cosche traggono i propri guadagni. 

Ci sono poi almeno 60 miliardi di euro che derivano da forme di corruzione (come le tangenti) e altri 150 miliardi che sono il risultato dell’evasione fiscale. Il malfunzionamento dello Stato è strettamente collegato al progredire delle associazioni criminali, che riescono ad insinuarsi nelle crepe delle inefficienze statali. 

Dunque, è sicuramente fuorviante pensare che le mafie siano radicate nelle zone povere, perché il loro scopo è arricchirsi e solo le zone di benessere, dove circola molto denaro, offrono questa possibilità.

Non dobbiamo dimenticare, però, che in tutte le contrattazioni c’è un accordo tra due soggetti, un compromesso bilaterale: da una parte c’è il mafioso, ma dall’altra c’è chi accetta di fare affari con lui. Per questo si parla di “aree grigie”, settori della società civile che, pur non affiliandosi ufficialmente a dei clan criminali, fanno affari con loro e contribuiscono, per convenienza, al loro rafforzamento.

La cultura mafiosa, dunque è in parte frutto dell’educazione, della famiglia e dell’ambiente sociale di provenienza, e in parte una scelta determinata dalle caratteristiche intrinseche della persona. Certo è che è molto difficile uscire da queste organizzazioni, che siano di stampo camorristico o che si parli di Ndrangheta, che si tratti di mafia siciliana o Sacra Corona Unita. Solo appoggiandosi allo Stato e utilizzando il sistema di protezione che esso può garantire, questa sfida diventa possibile.

Chiara Primatesta 2AFM